BEATRICE AUDRITO
"NEL CILINDRO DEL DUBBIO"
La mostra presenta una selezione di opere e installazioni inedite, in parte ispirate alla novella che lo scrittore tedesco Thomas Mann scrisse durante un soggiorno estivo a Forte dei Marmi, disposte sui tre piani dello spazio espositivo. Un percorso coerente che permette al fruitore di accostarsi alla ricerca artistica di Gino Sabatini Odoardi attraverso la sua produzione più recente. Le opere sono realizzate con la tecnica della termoformatura in polistirene, un processo di derivazione industriale che identifica la ricerca di Sabatini Odoardi, unico artista nel panorama italiano e internazionale ad applicare questa tecnica al campo dell’arte.
Al piano terra, la mostra si apre con una precisa dichiarazione di intenti, quale preludio al tema che verrà sviluppato nel percorso espositivo. Nella prima sala, a sinistra, il fruitore è accolto da Senza titolo con bacchetta magica, un'edicola laica sulla quale sono appoggiati gli strumenti di lavoro del mago: la bacchetta magica e il fazzoletto. L'opera è posta in dialogo con Senza titolo con sedia, una sedia dall'equilibrio precario sulla quale pende un drappo bianco. Due elementi importanti che introducono alla poetica di Sabatini Odoardi: da un lato la produzione di opere e installazioni composte da elementi sospesi o oggetti -spesso prelevati dal quotidiano- posti pericolosamente in bilico al fine di “generare tensioni, produrre equilibri instabili, rompere gli assesti, disallineare armonie”, stimolando il fruitore a porsi nuovi interrogativi sul mondo; dall'altro il ricorso costante alla piega, declinata nel drappo o nel panneggio, quale richiamo all'infanzia e al mondo delle stoffe ma anche metafora di qualcosa che si replica all'infinito, nascondendo tra le pieghe l'enigma della vita, dove niente è chiaro e rivelato. Opere e installazioni di matrice concettuale dietro le quali si cela il tentativo dell'artista di riflettere sulla validità del pensiero tradizionale quale strumento di conoscenza della realtà di fronte all'inconoscibilità del mondo.
A fare da contrappunto, nella sala di destra una distesa di secchi posti saldamente a terra, sovrastati da drappi bianchi, dà origine a un'installazione complessa dove l'armonia cromatica è rotta solo dall'elemento rosso. L'utilizzo dominante del bianco, colore di sottrazione e apertura al possibile, genera un'enigmatica dimensione spazio-temporale.
Al primo piano, al centro della sala campeggiano cinque blocchi scultorei: sono disegni ripiegati su se stessi con la tecnica della termoformatura dove il segno della grafite –impresso nel foglio di polistirene grazie alle alte temperature– è imprigionato per sempre nella materia. A parete, un altro oggetto dall'equilibrio precario sembra lievitare verso l'alto e, accanto, un bicchiere riprodotto su uno specchio antico introduce a un'altro elemento simbolo della ricerca di Sabatini Odoardi, il bicchiere. Un comune bicchiere da cantina che per l'artista rappresenta uno spazio neutro dove tutto può accadere, il perimetro dell'anti-tutto entro cui far convogliare il mondo senza dogmi o ideologie.
Attraversando il corridoio centrale per recarsi nella seconda sala si incontrano i Sandali da disegno, un'opera enigmatica che si riflette, come in uno specchio, nel suo corrispettivo a parete, un disegno realizzato con l'impronta dei sandali stessi e l'impiego della foglia oro.
La sala successiva presenta Senza titolo decentrato, una grande installazione a parete composta da venti elementi quadro-cornice che ripercorrono tutto il perimetro della stanza: sono i “quadri mancanti a loro stessi” come dichiara l'artista, ovvero quadri che continuano altrove, rivelando la possibilità di essere “finiti” o “non finiti” dal fruitore che ha la facoltà di interagire e completare l'opera con il pensiero, in totale libertà. Vi soggiace l'idea che vi sia sempre una parte mancante, qualcosa che si nega alla vista e dunque alla comprensione delle cose del mondo, insinuando il dubbio. Un intervento ideale e concettuale che, al contrario, rivela tutta la sua matericità nella scultura racchiusa nella teca al centro della sala dove uno di questi quadri, decontestualizzato, come un'isola che si è allontanata dal suo arcipelago, si espone al pubblico portando con sé un frammento di parete. E' la messa in scena il paradosso visivo tra ideale e materiale.
Il secondo piano è dedicato alle opere ispirate alla novella autobiografica Mario e il mago scritta dallo scrittore tedesco Thomas Mann durante un soggiorno estivo a Forte dei Marmi e pubblicata nel 1929. Al centro di entrambe le sale, all'interno di apposite teche, gli strumenti del mago: nella prima una valigia nera antica al cui interno è imprigionato un drappo trattenuto dalle cinghie; nella seconda un bastone, un cilindro ottocentesco e un fazzoletto.
Alle pareti, trentatré opere termoformate sull'oggetto del bicchiere, sulle quali prendono forma trentatré disegni in bianco e nero ricavati da stampe di fine Ottocento dedicate ai trucchi di magia. I disegni, che hanno per soggetto le mani e dunque l'abilità di far apparire e scomparire gli oggetti, modulano l'inganno del mago sulla sagoma del bicchiere, già sottratto alla nostra visione grazie alla tecnica della termoformatura, amplificandone l'inganno visivo.
Nel corridoio che divide le due sale, il ritratto del mago Cipolla si affaccia su una sorta di reliquario contemporaneo che racconta la storia di Mario e il mago attraverso sei oggetti che rievocano i passi più salienti del racconto, come le stazioni di una via crucis laica: il frustino, l'anello di lapislazzuli blu, un'antica carta da gioco, una cartolina del Grand Hotel, un libro e la fondina di una pistola. Un escamotage con il quale l'artista consente al fruitore di rivivere la storia scritta e ambientata da Mann a Forte dei Marmi alla fine degli anni venti, quale pretesto a sua volta utilizzato dallo scrittore tedesco per parlare della realtà socio-politica italiana nel ventennio fascista. Nella novella infatti Mann identifica il mago Cipolla, –nome d'invenzione con il quale egli si riferiva in realtà a Cesare Gabrielli, famoso ipnotizzatore italiano dell'epoca–, con la figura di Mussolini, riconoscendogli la stessa capacità di incantare e imbonire le folle.
Nel cilindro del dubbio indaga attraverso la seduzione della forma, la linea di confine tra magia e inganno. “Se dovessi dare una forma al dubbio –spiega l'artista–, sceglierei il cilindro perché è lo strumento della liturgia del mago dal quale egli può tirar fuori un artificio stupefacente o drammatico”. Come suggerisce il titolo, l'indagine di Sabatini Odoardi ruota intorno alla poetica del paradosso: le sue opere, che si fanno metafora dell'inganno visivo e percettivo, sono spesso abitate da più visioni, situazioni apparentemente illogiche, contraddittorie e paradossali che tuttavia coesistono, condividendo lo stesso spazio e la stessa materia oggettuale. E' l'enigma dell'esistenza che spesso abita il pensiero umano.
Pietrasanta (Lu), 24 giugno 2022
* Testo critico pubblicato in mostra in occasione della personale di Gino Sabatini Odoardi "Nel cilindro del dubbio" a cura di Beatrice Audrito, Forte Leopoldo I, Forte dei Marmi, dal 24 giugno al 17 luglio 2022.