ANTONIO AREVALO
"DISPIEGAMENTI"
Metaforizzare il senso del vuoto e non morire nell’intento.
Le opere di Sabatini Odoardi hanno una presenza innegabile formale e una indubbia forza evocativa. Quella sottile desolazione delle strutture nude [...] che diventano monocrome reliquie. Ma non lo dico io, lo diceva guarda caso Fabio Mauri.
Dispiegamenti è un’installazione sospesa tra forma e segno capace di creare una foresta monocroma.
Ventiquattro drappi in polistirene bianco termoformati manualmente dall’artista riempiono lo spazio sospesi tra cielo e terra come in un giudizio universale. Bianchi drappi immacolati, piegati che pendolano dal cielo.
Non si può non tener conto del contesto espositivo che gioca un ruolo importante.
Per cui la produzione artistica dovrà intendersi come una forma di ricerca e corpo di conoscenza e dovrà anche essere leggibile lo stato temporale e spaziale dell’incontro e, come diceva Marcel Duchamp, anche del gioco.
E’ il suo racconto concettuale, di sicuro un percorso che acquista peso quanto più disegna il suo campo, le mura di una storia, lì per dimostrare un’unità formale, tematica e concettuale: l’uso del bianco e del nero, che erano usati per indicare la precisione, il perentorio, l’ineludibile. Mentre questi elementi hanno riferimenti letterali, l’onere espressivo del lavoro è ad un livello di consapevolezza intuitiva, di armonia degli accordi.
Il set si mostra nel suo miglior senso realistico e simbolico: le strutture, oggetti scultorei in continuo traghettamento verso territori statici, dove s’accomoda la forma:
a) il bianco è sommariamente considerato emblema della luce, colore della divinità e inteso come principio generatore.
b) Le funi nere, a esse sono attribuibili una molteplicità di significati simbolici tra loro strettamente connessi, infatti, incarnano sia valori positivi come il principio universale e di ogni manifestazione vitale, sia negativi come la distruzione e dissoluzione del tutto.
La duplice essenza di quest’antitesi cromatica è usata ancora oggi, sia per prendere una posizione attraverso pensieri categorici, sia per dichiarare l’ambiguità del contemporaneo. Nel tempo, hanno rilanciato e rielaborato questa complice avversione, metaforizzando il senso del vuoto e del pieno.
Attraverso i suoi interventi, l’artista si riferisce alla violenza che produce energia, al potere che opprime, domina e sottomette la vita, utilizza forme che rappresentano la struttura di potere di ricordare e dimenticare. Oltremodo si potrebbe pensare ad una profezia dell’artista.
L’infinito riprodursi delle pieghe, il loro incessante stratificarsi, produce composizioni visive, rapporti aritmetici, «accordi», che contribuiscono alla creazione di quella «nuova armonia» a cui la filosofia, come suggerisce Deleuze, non deve mancare di ispirarsi.
Nell’inserirsi nel dibattito sul cambiamento, l’artista verifica le interazioni con il mondo, questo è per me un punto di arrivo: lasciare che il linguaggio espressivo diserti il linguaggio omologato è senz’altro anche uno dei più importanti compiti che l’arte è chiamata ad assumere.
Arte eretica, arte innocente e perversa, limpida e paludosa, arte aerea e sotterranea, arte dell’eremita, arte a portata di mano e sempre di un aldilà che è la necessità di scoprire le specificità espressive.
L’intuizione della meta come tragitto della poesia è noto, ma qui un dato è poco comune, la ricerca nitida di verità.
Dedicato a esplorare i più diversi aspetti della cultura barocca, dall’estetica alla metafisica, dall’architettura alla matematica, dalla pittura (ancora Deleuze), cerca di definire, attraverso la metafora della «piega», il costituirsi dell’anima e dell’esperienza moderna. Proprio perché in essa tutto si piega, si dispiega, si ripiega.
Quello che si trasforma in ogni opera è l’evento temporale, la fisicità che trasforma tutto in dramma o accadimento. E poi c’è l’alchimia che fa sì che tutte le zone ineffabili del sogno diventino, non fase REM, ma metafora.
Roma Maggio 2016
* Testo critico pubblicato sul pieghevole in occasione della mostra personale "Dispiegamenti" curata da Antonio Arevalo e Daniela Pietranico, Alviani Artspace / Aurum, Pescara. Dal 07.05.2016 al 25.06.2016.