ALESSANDRA ANGELUCCI
"DISPIEGAMENTI"
Che cos’è una piega? Il passaggio di un’azione, un’intenzione abortita, la materia che diventa forma, un desiderio che si china su se stesso. Ciò che non è più o ciò che avrebbe potuto essere al passaggio di una mano che l’ha forgiata: una cicatrice senza carne.
Percorrere il tunnel dell’Alviani ArtSpace di Pescara, trovarsi di fronte ai panneggi sospesi e osservare una foresta di "Dispiegamenti": è questo il titolo della mostra di Gino Sabatini Odoardi, a cura di Daniela Pietranico, che offre al visitatore un’esperienza di candore, monocroma, un bosco di 24 drappi bianchi termoforati in polistirene da percorre in un’oscillazione casuale ma rigorosa, uno spazio in cui gli stessi drappi dialogano con il nero delle funi a cui essi sono annodati. Lo spazio espositivo dell’Alviani si offre stavolta allo sguardo – ma anche al corpo che lo vive – come un ambiente accuratamente studiato dall’artista per aprirlo a un rapporto cromatico dicotomico, in cui il piano immaginario orizzontale su cui si sospendono le "pieghe” modellate – il bianco che domina, appunto – si contrappone alla spinta verticistica delle linee nere disegnate dalle corde. Il taglio verticale – e dunque infinito – di un cielo sconosciuto che l’occhio va a cercare al di là del soffitto. È come se Sabatini Odoardi non avesse mai smesso di dipingere, un modo altro – il suo – di introiettare e restituire lo spazio al fruitore attraverso una installazione in cui è scientifico il rapporto fra linee e superfici, presenze e assenze, vuoti e pieni, una relazione-azione in cui si avverte la ricerca instancabile di una perfezione che pone al centro la parola "equilibrio”. Potremmo dire anche un «dispiego», come scrive il filosofo francese Gilles Deleuze nel testo "La piega, Leibniz e il Barocco”, con cui l’artista si confronta per dare ritmo e plasticità continua ai suoi panneggi. Un dispiego che «non è certo il contrario della piega, né la sua cancellazione, ma la continuazione o l’estensione del suo atto, la condizione del suo manifestarsi».
Un saggio illuminante, quello di Deleuze, in cui l’artista Sabatini Odoardi affonda lo sguardo con attenzione: "cattura” i tredici piccoli schizzi del filosofo francese e li ripropone in mostra in piccole teche. La teoria visiva, dunque, che dialoga armonicamente con la forma pratica del processo creativo divenuto foresta a dispiegamenti. Il pensiero filosofico che s’apre a ventaglio in tutta la sua importanza per ispirare ed ampliare la ricerca dell’artista, da sempre attento, sin dagli anni ’90, all’artificio plastico tecnologicamente avanzato con cui "ibernava” frames di vita quotidiana: un processo di «congelamento – come ha scritto Francesco Poli – in cui l’azione del calore permette alla plastica di appropriarsi dell’anima formale delle cose sottostanti».
Oggi – nelle pieghe che l’artista presenta – l’oggetto congelato/estraniato è scomparso ed è solo la plasticità del materiale a vivere, magistralmente modellato in pochi secondi: «una piega che nel lavoro di Gino Sabatini Odoardi – scrive la curatrice Pietranico – viene plasmata nel corso di pochi attimi nei quali la lastra di polistirene, rigida e orizzontale prima, con il forte calore diventa morbida e cede alle pressioni esterne e alle curvature imposte dalle esperte mani congelandosi in un drappo dalle sembianze sinuose e avvolgenti».
Che cos’è che si dis-piega, allora, fra le linee sinuose di questo bianco orizzonte ondulato? L’attimo prima, che vive nell’intenzione, e l’attimo dopo, immortalato nel candore del panneggio cristallizzato. In mezzo, l’infinito e le sue variabili.
Pescara, luglio 2016
* Testo critico pubblicato su Exibart on-line il giorno 1 agosto 2016.