PLINIO DE MARTIIS, UN MIO BREVE RICORDO

A cura di Gino Sabatini Odoardi

 

Conobbi personalmente Plinio nell’Agosto del 1998 nella sua galleria “La Tartaruga” a Castelluccio di Pienza (vicino Siena). In quegli anni facevo l’assistente per Fabio Mauri insieme ad altri due miei amici artisti. Plinio, dopo aver inaugurato nella galleria toscana le collettive “Gli anni originali” e “Per il clima felice degli anni ‘60”, continuò con una bellissima retrospettiva a Piero Manzoni ed una personale a Jannis Kounellis. A settembre arrivò il turno della mostra di Fabio Mauri e fu in quell’occasione che avvenne il mio incontro seppur breve ma intenso con Plinio De Martiis. Lavorai nella sua galleria all’incirca dieci giorni.

 

L’ho conosciuto impaziente, fermo e cinico nelle decisioni, ma impaziente.

Le sue mani tradivano un certo nervosismo, lo sguardo no. Amava proferire a bassa voce ordini travestiti da consigli. Non amava essere contraddetto. Assistetti un paio di volte a densi scontri verbali con Fabio. L’uno voleva prevalere sull’altro. La spuntava quasi sempre Mauri non senza obbligate condizioni.

La sua età anagrafica non corrispondeva affatto alla sua età biologica. Era una giovane macchina insofferente. 

A pranzo si andava sempre nella stessa trattoria, un luogo accogliente nascosto tra i cipressi. A tavola ordinava per tutti, mai per sé. Era così pieno di energie da far invidia ad un bambino. Mentre si mangiava rimasi sbalordito quando una volta affermò: “Voglio aprire una galleria vicino Parigi in un Castello della Loira”. Una certa complicità incoraggiata dal contesto mi autorizzò a chiedergli subito dopo: “Plinio, ma quanti anni hai?” e lui: “L’età del Papa” (Wojtyla) mi rispose compiaciuto. 

Era di media statura ma gestiva senza problemi una personalità imponente. Amava conversare con se stesso in assoluto silenzio. Emanava una certa riverenza, esercitava del fascino, ma aveva un carattere difficile. 

Ho saputo a posteriori del suo legame stretto con il dubbio, ciononostante, non ho mai assistito ad un benché minimo ripensamento. 

Lavoravamo con guanti bianchi per paura di danneggiare qualsiasi cosa. Plinio ci tranquillizzò davanti ad un caffè ricordandoci che in fin dei conti l’arte non deve essere presa troppo sul serio e ci raccontò di quel quadro di Rotella che aveva in corridoio, e di come nel corso degli anni si tramutò in qualcos’altro. “Ogni volta che passo - affermò - tiro via una strisciolina di manifesto”. Aveva capito - come Rotella - che l’arte non deve essere venerata, ma strappata ed esibita. Concordai ironicamente che si trattava di una sua duchampiana “rettificazione domiciliare”. Dopo la mia asserzione, sorrise ed annuì.

Non ricordo se fece delle foto mentre montavamo la mostra, ma i suoi scatti li ho colti ogni qualvolta sostava, trasparente, al centro delle stanze. Il suo sguardo aveva la severità statica delle espressioni di Bresson.

Lo vedevo sempre scendere le scale senza mai salirle - da un “piano superiore segreto” [1]. Non penso che in quel castello ci fossero ascensori. Riusciva a materializzarsi dalla stessa porta dove era uscito un secondo prima. Ancora oggi è un mistero per me. Era il fantasma di se stesso.

Alla fine della mostra, prima di andar via, si sentì in dovere di suggerirci un consiglio e con tono perentorio ci disse: “Mi raccomando, voi giovani artisti (…), i critici d’arte non li dovete far dormire la notte” [2]. Rimasi perplesso, non avrei mai immaginato prima di allora di dovermi misurare con l’insonnia dei critici d’arte, ma ne presi atto visto che si trattava del grande Plinio De Martiis.

Oggi, a distanza di quasi dieci anni da quell’incontro, mi tornano in mente le parole di Fabio Mauri quando ricordando Piazza del Popolo negli anni ’60 parlava dell’amico Plinio: “Tra una raffica e l’altra, lì c’è Plinio. Più che stare, Plinio De Martiis parte e arriva dal marciapiede di fronte. Perché è irrequieto, sia nel successo che nell’insuccesso. Ha bisogno continuo di autoverifica, di ridirsi da solo ciò che si è già detto in due, di ciò che ha deciso in tre per un progetto a quattro. Perde occasionalmente tempo nell’anticamera della propria scettica solitudine con cui ha perpetuo appuntamento” [3].

Tre anni fa, lui e la tartaruga, in silenzio e “senza salutare”, sono rientrati nel cappello di Mafai [4]. Un nuovo tragitto con la sorte, contromano. 

Penso che sia andata proprio così.

 

Gino Sabatini Odoardi

Pescara, Aprile 2007

 

Note:

[1] Fabio Mauri in occasione della mostra (“Picnic o Il buon soldato”) collocò sulla porta del piano superiore una targa in metallo con la dicitura “Stanza segreta”. Operazione che ebbe un seguito teorico in un capitolo del catalogo della mostra “Il piano superiore è segreto” in “Fabio Mauri - Picnic o Il buon soldato”, ed. Donchisciotte per “La Tartaruga”. San Quirico D’Orcia (Siena), 1998, p. 41.

[2] Gino Sabatini Odoardi, “Controindicazioni” a cura di Simonetta Lux e Domenico Scudero, ed. Lithos, Roma, 2003, p. 51.

[3] Fabio Mauri, “Nel 1960 gli anni ’50 avevano 10 anni”, in “Fabio Mauri Opere e Azioni 1954-1994”, Galleria Nazionale D’Arte Moderna, ed. Giorgio Mondadori, Milano, 1994, p. 63.

[4] La nascita della galleria “La Tartaruga” di Plinio De Martiis avvenne per caso nel 1954 in una serata tra amici. Nel cappello del pittore Mario Mafai furono messi 5 bigliettini piegati, fu estratto un bigliettino con su scritto “La Tartaruga”, annotato dall’amico Mino Maccari. A Plinio non restò che accettare il verdetto della sorte. Il 25 Febbraio del 1954 inaugurava la sua galleria a pochi passi da Piazza del Popolo.

 

* Testo pubblicato sulla rivista "Mente Locale" (a cura di Paolo Ferri) n. 3, Pescara, maggio 2007 e sul sito online "Art Listening".